Ogni giorno nella mia esperienza clinica mi trovo a far fonte al dolore. Una lama ardente che punge l'anima delle persone che accolgo. Sofferenze psichiche che muovono il corpo, sofferenze fisiche che impattano sulla mente. Esse non sempre si radicano nelle parole, ma nella carne che ne conserva le tracce. Una ruota che gira su se stessa, in cui ogni elemento è responsabile dell'inizio e del punto di arrivo in un interrelazione costante. Ma uno più di tutti è il nome greve che pervade, invade e muta il panorama di senso di chi ne fa esperienza: il Cancro.
Già solo la matrice di senso che sottende questo termine ha il potere invisibile di evocare scenari psichici privi di qualunque possibilità d’uscita. Infatti a causa del significato rigido attribuito a questa parola emergono credenze limitanti che conducono, tutt’ oggi, a considerare questa patologia come l’unica faccia di una medaglia che invece può celare un risvolto diverso, più ampio.
Ma è bene non dare nulla per scontato.
A volte basta cambiare parole per cambiare il senso di una vita, e le parole giuste per scrivere del cancro non sono solo quelle che spiegano o narrano della malattia, ma quelle che accolgono e danno forma al senso che assume nella nostra vita, che amplificano la nostra conoscenza, conducendoci verso orizzonti trasversali di osservazione capaci di lenire il peso della sofferenza fisica, psichica e morale e di aprire le porte interiori per far riemergere le ragioni più profonde dell'Anima (...).
Da qui origina quella via segreta che consente di indirizzare le nostre forze per la ricerca e la lotta verso le cause e non verso gli effetti. Così facendo sicuramente cambieremmo noi e cambierebbe anche il mondo.
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