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La medicina al servizio della Vita


Non di rado, come professionisti della salute, possiamo aiutare chi soffre in modi molto profondi senza nemmeno saperlo. Possiamo provocare un enorme cambiamento nella vita di qualcuno attraverso piccole cose fatte o dette che passano attraverso il servizio, l’accoglienza, la cura, ma soprattutto l’ascolto rispettoso dell’esperienza dell’altro, per compenetrare nel senso nascosto della sua storia che diviene esperienza di amore e ricchezza per la nostra storia.


Infatti, il processo di umanizzazione che ciascuno di noi è chiamato ad onorare, davanti ai cambiamenti epocali che stiamo vivendo, si gioca su due livelli: quello dell’intimità della propria coscienza e quello della relazione con i propri pazienti e, sebbene, la medicina contemporanea radicata sul dualismo cartesiano che distingue mente e corpo, abbia messo spesso al centro del processo di cura gli aspetti tecnico-scientifici e le conoscenze del professionista sanitario, concentrandosi sul “disease”, ovvero sulla malattia come concettualizzata dalla scienza medica, non tenendo sufficientemente conto degli aspetti relativi al vissuto soggettivo del paziente e della percezione sociale della malattia, nel panorama odierno si stanno spalancando varchi sempre più ampi volti all’integrazione delle molteplici dimensioni esistenziali. Da questa prospettiva è inevitabile non notare, che quando ci mettiamo al servizio della vita del paziente, della sua unicità, della sua storia, lasciando che il suo vissuto tocchi il nostro, operiamo un'enorme trasformazione nella persona. L’aiutiamo a ritrovare la sua forza piuttosto che usare esclusivamente la nostra e quella medica per guarire.

Ed è proprio partendo da qui che possiamo vedere come, oggi, il mondo della scienza stia cambiando direzione grazie alla disponibilità di nuovi paradigmi di intervento più espansi, laddove i professionisti della salute recuperano quelle dimensioni della cura che per lungo tempo sono state metodologicamente messe tra parentesi dalla medicina basata sulle scienze della natura e nei quali i pazienti con la loro personalissima storia, si scoprono parte attiva nel determinismo del proprio benessere e della propria felicità. Ed è proprio la conoscenza, data dall’esperienza della storia di vita che fornisce l’accesso diretto a comprendere il funzionamento della persona, a diventare il primo e fondamentale atto di cura.


In quest’ottica di complessità si inserisce sulla scena clinica la Medicina Narrativa (NBM), la medicina che presupponendo una concezione unitaria della natura umana lascia che “il paziente si racconti” e allo specialista la possibilità di “condividere empaticamente” la sua storia, al fine, di ricomporre una trama di rimandi significativi capaci di supportare e condurre la persona nel percorso verso la più profonda guarigione.

“La narrazione non si configura come un ascolto remissivo e passivo alle indicazioni terapeutiche ricevute dal medico, ma diventa aderenza soggettiva da parte del paziente, che capisce anzitutto cosa lo specialista gli dice, che non solo è d’accordo con questo dopo averne discusso assieme, ma che ha tutte le risorse per poter realizzare i suggerimenti che ha ricevuto. Questo ci fa capire quali possibilità l’uso della narrazione in medicina ci consente di mettere in atto per recuperare quella dimensione di umanizzazione che negli ultimi anni la scienza medica ha rischiato di perdere, ma che costituisce invece un elemento fondamentale del suo essere cura dell’altro, della sua sofferenza e di essere Arte, un’arte della guarigione scientificamente fondata”.


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